Era una notte buia e tempestosa





È la lotta tra il senso pratico che suggerisce di non fare una cosa inutile, che non serve a nessuno, e il desiderio di 'paternità/maternità'. È quel desiderio di eternità che ci attanaglia. Ci giustifichiamo, ci scherniamo dicendo che scriviamo per noi, non sia mai per gli altri; spacciando sfacciatamente per verità questa bugia dalle gambe cortissime. Persino quelli che fanno disegni osceni sulle mura dei cessi della stazione Termini sperano che qualcuno li guardi e che notino il loro stile 'unico' e graffiante nel disegnare piselloni. Ma la consapevolezza che se anche la tua pagliuzza fosse di oro finissimo (e non lo è) in mezzo a quell'enorme covone di paglia gialla, nessuno la troverà mai, è quello che sfianca. Quindi, al fine, ti prendi per il culo da solo, e dici: scrivo così, perché mi piace... e rimani sul vago.
È una lotta quotidiana. Lotti ogni giorno tra la voglia di scrivere e il pensiero pernicioso che sia un atto perfettamente inutile.
Ma a quel punto le seghe mentali volano alte, toccano l'apice. Le idee sembrano fluire nella tua mente come la forza nelle vene della famiglia Skywalker. Idee di trame stratosferiche, di personaggi sublimi e interessanti attraversano fulminee la tua mente a cavallo di neuroni sorridenti e rampanti. Allora, prendi la tastiera in mano (no, la penna no, ho sempre avuto una calligrafia di merda). Le dita ansiose, fremono, scalpitano: “Era una notte buia tempestosa...”, un inizio maestoso!
Ma...
forse...
il dubbio s'insinua dolente, questa superba frase ti sembra d'averla già letta o sentita. Ci pensi un po' sopra, ma poi, ti dici: che importa!? Allora, lanci la tastiera oltre l'ostacolo e il template di amazon nel cestino e continui imperterrito. Le dita sembrano volare sui tasti.
Dopo due terribili e lunghe ore, senza bere, senza mangiare, con la schiena che ti duole, con gli occhi arrossati; senza, per giunta, aver guardato una sola volta whatsapp, nonostante la pioggia insistente di trillanti notifiche, ti fermi.
Tiri un lungo sospiro. Ti alzi. Fai un giro intorno alla sedia e ti concedi un sorso d'acqua.
Chissà quanto avrò scritto, pensi.
È giunto il momento di tirare le somme, di gratificarti un po'. Agguanti il mouse e allegramente clicchi: 'strumenti'-'conteggio parole': 417, numero caratteri: 1750.
Sì, è una cartella, una misera cartella scarsa, ma è una cartella che prima non c'era. Non esisteva. Sono i tuoi pensieri, quelli. Sono le 'tue' parole, le hai messe in fila tu... nessuno mai le aveva messe in fila così, prima di te. Belle de papà.

Con questa “commovente” esclamazione, concludo. Cari compagni di 'sventura', potete anche non leggermi, anzi, sicuramente non mi leggerete. Non mi leggerà nessuno. Non importa. Io scriverò lo stesso, perché mi piace scrivere. Anzi, non è proprio così, scrivere è molto faticoso, ma rileggermi è una goduria.
Lo confesso: Narciso mi fa un baffo. Provo un fottutissimo piacere nel rileggermi. Penso: cazzo, mi piace come scrive questo tizio. Ho ritrovato, in un cassetto, tre pagine dattiloscritte, ingiallite dal tempo, cariche di correzioni e di ribattute, scritte quarantacinque anni fa con l'Olivetti a nastro di mio padre, un incipit di un romanzo d'amore mai scritto, mi ci sono subito riconosciuto e ho pensato: “Cazzo, mi pace come scrive questo tizio.”

Ecco, l'ho detto! Ora potete pure non leggermi.

:) 

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