La nostalgia fa male, un male cane

 


Hanno riaperto una vecchia strada, inghiottita dalla “Jungla” dell'incuria e dell'abbandono. E' la vecchia Penive, o quello che rimane, una volta unico accesso carrozzabile al paese alto. Su quella strada che portava agli uliveti sulle pendici nord della collina, fuori le mura, c'era l'immondezzaio. Più di cinquanta anni fa era il luogo dove si raccoglievano tutti i rifiuti della comunità, ma allora non c'era la plastica o le lattine, il vetro si pagava e andava riconsegnato, non c'era 'l'igiene' imposto dalla comunità europea, c'erano pure la galline per chi aveva l'orto, e quello che oggi si chiama 'rifiuto umido' finiva nelle loro pance. Ed era così, un minuscolo pezzo di terra scoscesa, poche centinai di metri fuori le mura bastava a raccogliere i rifiuti di un intero paese.
Oggi, si vede soltanto qualche resto di orinale smaltato, qualche bacile, smaltato anche lui e nient'altro. Allora non si buttava niente di più, si riciclava tutto, e i grossi barattoli di latta di conserva o di tonno del negozio di alimentari, finivano come vasi o come lamiere di rivestimento dei pollai.
Non c'era allora, nemmeno il famigerato calendario di raccolta rifiuti, con il 'conferimento' quotidiano obbligatorio che ci costringe oggi, ogni santa sera che Dio comanda, (tranne li sabato) con qualsiasi tempo, ad uscire e fare altrettanta strada, la stessa che facevamo allora. Ma allora, si 'conferiva' solo quando era necessario, da piccolino andavo anche io, la sera, prima che facesse buio.
Ho ripercorso di nuovo quel tratto di strada e vi posso assicurare che la nostalgia fa male, un male cane, prende allo stomaco, alle viscere e lì dentro apre una voragine che risucchia la mente e fa battere il cuore all'impazzata.
L'ho fatta tante volte quella strada, con le fascine di frasche sulla schiena. Allora l'asino era un mezzo da professionisti, e io e mio padre eravamo dilettanti, olivo-cultori a tempo perso. Ma non è stato mai tempo perso; ho amato quei tempi con mio padre, sono qua, nel mio cuore e nel mio ventre. Quando la forza della adolescenza sprizzava da tutti i mie pori e tutto il mio essere cercava sfide per i miei muscoli, salire su un albero era un'avventura, costruire un muro a secco una sfida e tagliare un tronco con l'ascia bipenne era un divertimento, anche se, con la sega era più comodo e veloce.

E adesso smetto, nutrirsi del passato fa male, almeno a me, è come se mi consumasse un incendio.

E allora? E allora: “Domani, aspettami che arrivo.” eccomi a consumare nuovi sogni, a costruire nuovi ricordi.

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