Seven deaths: rifllessioni
Vi offro questo piccolo racconto tratto
da Seven deaths... non molti ne hanno afferrato appieno il senso,
presi dalla prosa e dal soggetto inusuali. Ma esso rappresenta in realtà la metafora sintesi del libro.
In questa società in qualche modo
pan-americana, dove l'immagine positivista del bello, ricco, famoso e generoso eroe che alla fine vince sempre e comunque, una società
che macina gli animi più sensibili e le persone cosiddette “più
deboli”, l'affrancatura tragica ma ideale e perfetta dell'individuo
schiavo di questi stereotipi forzati, coincide con l'ultimo atto di libertà di Cavallo Pazzo: la morte.
Morte intrinsecamente nobile, che, in questo, caso assurge simbolicamente a sintesi di libertà suprema. E la profezia pronunciata dal capo indiano sintetizza appieno, ovviamente a mio giudizio, la lenta agonia di questa società moderna che non riconosce più la pietà e la solidarietà verso i più deboli come valori assoluti
Morte intrinsecamente nobile, che, in questo, caso assurge simbolicamente a sintesi di libertà suprema. E la profezia pronunciata dal capo indiano sintetizza appieno, ovviamente a mio giudizio, la lenta agonia di questa società moderna che non riconosce più la pietà e la solidarietà verso i più deboli come valori assoluti
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Oggi
è un buon giorno per morire!
Sono
finiti i tempi del cerbiatto e del bisonte. E’ finito anche il
tempo dell’onore. La Nazione muore, ed io con lei. Le mie verdi
praterie non vedrò più, il cielo terso e le grandi montagne
all’orizzonte, dove sono? L’acqua fresca del fiume che scorre
sulla pelle mai più io sentirò. Il galoppo dei cavalli, il muggire
del bisonte, l’odore del sangue bevuto dal suo collo, il profumo e
il caldo della donna nella tenda, l’odore delle pelli stese al sole
spariranno per sempre dietro quelle mura.
Grande
Spirito dove sei? Sei morto anche tu con gli ultimi bisonti? Ascolta
il dolore del tuo Popolo.
Io,
Cavallo pazzo, condottiero dei Sioux Oglala, sono qui incatenato su di
un carro, cammino scortato da quattro giacche azzurre verso la
prigione. Guardato con disprezzo e con paura. Hanno paura i bianchi,
hanno paura persino di guardarmi gli occhi, anche adesso che sono
incatenato. Ma che nemico è? Sussultano spaventati a ogni mia mossa.
Mi
sembra ancora ieri, quando sulle Colline Nere, sulle sponde del
Little bigHorn, cavalcavo alla testa dei guerrieri. Quel giorno, il
Grande Spirito era con noi. Capelli Gialli perse il senno e venne a
sfidarci sino al villaggio e a morire.
Il
sudore dei cavalli, le grida di morte, l'odore di sangue, finalmente li circondammo. Gli
stolti si erano divisi, e con un grande assalto, fui io che strappai
il cuore all’ultimo soldato. Le urla di vittoria riecheggiarono a
lungo in tutta la valle, sino al villaggio. Tutti gli scalpi furono
stesi a essiccare. I nostri vecchi a lungo celebreranno cantando la
vittoria. Tutti li uccidemmo. Non si arresero, anche il guerriero
bianco quando vuole, sa morire con onore, o forse è solo la morte
che ci rende onore e ci fa diventare tutti uguali.
Ma
il tempo passa in fretta, e l’uomo bianco dalle locuste ha preso
anche il numero, e, se ne uccidi cento, ritorneranno in mille. Ci hanno
inseguiti, sempre, per un intero anno. Ho visto morire di stenti le
nostre donne, i vecchi e i bambini.
Che
triste questo giorno, sono qui, seduto su di un carro, incatenato come una
bestia. L’uomo bianco la chiama civiltà, ma non conosce onore.
Inganno è il suo vero nome e una pietra gialla ha messo al posto del
suo cuore. Ci ha ucciso mille volte spezzando il nostro orgoglio con
la forza del cannone e con l’inganno del serpente. La locusta è
madre della sua razza.
Ma
profetizzo: chi con la terra mercanteggia no, non andrà lontano. E a
me,
Cavallo
Pazzo, capo dei Sioux non resta che una scelta: Hoka-hey, oggi è un
buon giorno per morire!
“Cavallo
Pazzo morì poco prima della mezzanotte del 5 settembre 1877, ferito
a morte con una baionetta, alla presumibile età di trentasette
anni.” (wikipedia)
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